Lazarus: l’anime di Shinichirō Watanabe tra parkour e azione

Sembra che Shinichirō Watanabe sia deciso a stupirci ancora una volta. Dopo l’uscita di “Carole & Tuesday” nel 2019, il celebre regista giapponese torna finalmente alla regia di una serie televisiva con “Lazarus”, un thriller futuristico che ha fatto il suo debutto in aprile su Adult Swim. L’attesa era altissima, soprattutto tra i fan di Watanabe che, nel corso degli anni, ha firmato opere cult come “Cowboy Bebop” e “Samurai Champloo”. E a giudicare dalle prime impressioni, “Lazarus” sembra raccogliere l’eredità di questi classici, pur conservando un’identità del tutto nuova.
La storia è ambientata in un anno 2052 apparentemente idilliaco, dove la medicina ha fatto passi da gigante grazie a un farmaco “miracoloso” chiamato Hapna, capace di eliminare il dolore dal corpo umano. Tutto bellissimo, almeno fino a quando il suo creatore — il geniale e sfuggente dottor Skinner — non si dilegua senza lasciare traccia, salvo poi ricomparire tre anni dopo, rivelando a sorpresa che Hapna ha una scadenza di tre anni, e chiunque l’abbia assunto rischia di morire da un momento all’altro. Una vera e propria corsa contro il tempo, dunque, che spinge le autorità a riunire un gruppo di cinque agenti scelti: Lazarus. Il loro compito? Rintracciare Skinner e porre rimedio a un disastro sanitario mondiale che incombe a ritmo vertiginoso.
La punta di diamante del team è Axel Gilberto, un giovane dotato di un notevole talento per il parkour e, soprattutto, di un’insolita inclinazione a evadere da qualunque prigione lo rinchiudano. Axel ha un carattere impetuoso, un po’ sbruffone, e ricorda per certi versi i personaggi più iconici di Watanabe: un mix tra la spavalderia di Mugen (“Samurai Champloo”) e l’insofferenza di Spike Spiegel (“Cowboy Bebop”), ma con una sua personalità ben definita. Axel e i suoi compagni — ognuno con specializzazioni diverse, dalla hacker prodigio al combattente più metodico — si trovano a navigare tra megalopoli fantascientifiche e veri e propri bassifondi, mettendo in luce un mondo in cui le disparità sociali sembrano più accentuate che mai.
A rendere ancora più affascinante l’azione c’è la collaborazione con Chad Stahelski, regista della saga “John Wick”, che ha contribuito alla coreografia dei combattimenti. Il risultato? Scene che mescolano sapientemente lo stile adrenalinico di Hollywood con l’eleganza di certi anime d’azione giapponesi. E si percepisce l’impronta di Watanabe nella cura dei dettagli: dalle scenografie urbane, che trasudano “vita vissuta” (anche quella poco pulita), all’approccio musicale, con nomi come Kamasi Washington, Bonobo e Floating Points a firmare la colonna sonora. Il tutto si sposa perfettamente con quell’atmosfera a metà tra noir, cyberpunk e thriller di stampo classico.
“Lazarus” non è solo un anime d’azione: porta con sé una riflessione, neanche tanto velata, su temi attualissimi come la dipendenza da farmaci e la pericolosità di tecnologie — compresa l’IA — che sfuggono al controllo. Questa vena di critica sociale aggiunge spessore a una trama già ricca di intrighi e colpi di scena, rendendo la serie un appuntamento imperdibile sia per i fan di vecchia data di Watanabe sia per chi cerca una storia dal ritmo incalzante, capace di far riflettere.
In definitiva, “Lazarus” è un tuffo in un futuro iperrealistico e decadente, in cui la medicina ha compiuto passi da gigante… forse fin troppo in fretta. Se siete in cerca di azione, mistero e personaggi fuori dagli schemi, non resterete delusi. E, come suggerisce lo stesso Watanabe, vale la pena guardarlo più volte, perché ogni episodio di “Lazarus” è un mosaico di dettagli da scoprire con attenzione, un concentrato di adrenalina e stile che strizza l’occhio alle opere precedenti del maestro ma, al contempo, apre nuove porte nell’immaginario dell’animazione giapponese. Buona visione e preparatevi a restare incollati allo schermo!

Recensione di Lazarus
“Lazarus” rappresenta il ritorno in grande stile di Shinichirō Watanabe sulla scena televisiva, ed è evidente fin dai primi episodi che l’autore di “Cowboy Bebop” e “Samurai Champloo” non ha affatto smarrito il suo tocco. Immaginate un futuro non così lontano in cui una cura miracolosa (Hapna) promette di cancellare il dolore per sempre, ma si rivela una minaccia peggiore di qualsiasi male esistente. Da questa premessa prende vita una narrazione che mescola riflessione e intrattenimento, giocando con atmosfere sci-fi e temi sociali, il tutto amalgamato da un’estetica ricercata che alterna scenari metropolitani decadenti a luoghi ultramoderni.
La struttura degli episodi si sviluppa in più livelli, regalando momenti di azione travolgente e intrecciando riflessioni amare su una società disposta a tutto pur di sfuggire al dolore. A rendere ancora più avvincente il tutto c’è il carisma di Axel, protagonista capace di esibirsi in incredibili numeri di parkour: un’anima ribelle alla costante ricerca della fuga perfetta. Senza dubbio, è un omaggio alle figure iconiche già care a Watanabe, con la differenza che Axel ha un suo stile: non sfoggia le arti marziali secche di Spike, né le piroette di Mugen, ma si muove come un equilibrista che sfida la gravità a ogni salto.
Da un punto di vista visivo, la collaborazione con Chad Stahelski (regista dei film di “John Wick”) si fa sentire in un’esaltazione dell’azione: le scene di lotta sono precise, coreografate al millimetro eppure ‘sporche’ quanto basta per ricordarci che stiamo guardando un anime, non un balletto perfetto. E se la regia esplora la brutalità dello scontro, la colonna sonora – a cura di talenti come Kamasi Washington, Bonobo e Floating Points – amplifica l’insieme con un sound che va dal jazz sperimentale all’elettronica più avvolgente.
“Lazarus” non si limita però a una semplice storia d’inseguimenti e pugni: fra le pieghe del racconto emergono temi come la dipendenza, l’uso (e l’abuso) della tecnologia, la corruzione delle istituzioni. Tutto scivola dentro un contesto cyberpunk dalle tinte forti, dove i ricchi vivono in torri patinate e i poveri sopravvivono in bassifondi fatiscenti. È un mondo che sa di frontiera, eppure ancorato ai problemi reali del presente, in pieno stile Watanabe: un occhio che vede e denuncia, ma non rinuncia alla speranza di riscatto.
Se cercate un anime che vi faccia esplodere il cuore al ritmo di scazzottate e inseguimenti adrenalinici, “Lazarus” fa per voi. Ma se preferite una trama di più ampio respiro, con sottintesi filosofici e criticità sociali ben studiate, allora vi stupirà in positivo. Tra citazioni implicite alle opere precedenti di Watanabe e un’identità che non perde mai originalità, “Lazarus” si candida a diventare uno degli appuntamenti imperdibili del panorama animato contemporaneo. Prepariamoci a un viaggio che, proprio come i capolavori passati, lascerà un segno indelebile e ci farà desiderare subito il prossimo episodio.